La politica delle pensioni e la volontà di mascherare la realtà.
L’attuale politica del
governo in merito alle pensioni non è altro che un modo subdolo di mascherare la
disoccupazione giovanile e la sua inadempienza (voluta!) nel trovare soluzioni
valide che indirizzino realmente la società verso un nuovo sistema
socio/politico/economico in grado di sostenere la sfida delle nuove tecnologie.
La crisi attuale, come già
detto negli articoli precedenti, riguarda essenzialmente il rapporto
deficit/Pil ovvero il rapporto tra le entrate fiscali - derivanti dalla
produzione di beni e la vendita degli stessi - e le spese dello stato - di cui
anche le pensioni ne fanno parte. Pertanto, il problema è duplice: come
aumentare le entrate e come/dove indirizzarle.
Innanzi tutto, però, va
definito il ruolo del prelievo fiscale (tasse), cioè, perché si pagano le
tasse? Per mantenere gli apparati dello stato come esercito, polizia,
magistratura, parlamento ecc. o per dare servizi ai cittadini e sostenerli in
tempo di crisi?
Le domande potranno sembrare
retoriche, ma solo in apparenza. Partendo dal presupposto che uno stato
democratico è formato da istituzioni che hanno il compito sia legislativo e di
controllo, sia di sostegno alle popolazioni e considerando anche che tutte,
almeno teoricamente, sono utili, definirne il ruolo è determinante. Solo in
questo modo si può definire come e dove devono essere indirizzate e a quale
istituzione spetta la priorità.
Dunque, se la società
democratica è il frutto della cooperazione tra individui che si danno delle
regole per evitare soprusi, ne deriva che, ogni istituzione è importante. Ma l’importanza
deriva, comunque, dall’utilità che i cittadini ne ricavano e, dato che, la
prima “utilità di ogni cittadino, è vivere una vita dignitosa - ancor prima del
benessere inteso come ricchezza individuale -, bisogna dedurre che la ricchezza
collettiva debba essere distribuita, innanzi tutto, per salvaguardare tale
esigenza. In pratica, il cittadino paga le tasse per assicurarsi quel benessere
necessario a vivere dignitosamente. E la pensione fa parte di questo modo d’intendere
il pagamento delle tasse. Ogni lavoratore, versando una quota specifica all’Inps,
dovrebbe assicurarsi, nella vecchiaia, un reddito che gli permetta di vivere
dignitosamente. Inoltre, dato che la società si basa sulla famiglia, ogni padre
lascia volentieri il posto al figlio (in termini generali) affinché anch’esso
possa assicurarsi lo stesso benessere.
Cosa significa tutto ciò? Che
la ricchezza creata dal lavoro dovrebbe essere usata, in primo luogo, per dare
sicurezza alla popolazione attraverso i servizi ma, innanzi tutto, attraverso
il turnover, il ricambio, generazionale del lavoro; ad una certa età – che non
possono essere i 67 anni -, il lavoratore deve lasciare il posto al giovane
percependo, però, uno stipendio (pensione) dignitoso che gli consenta di
permettersi i servizi necessari e i beni materiali disponibili.
Dunque, pagare le tasse
significa avere servizi. Ma, affinché ciò avvenga, bisogna che i servizi siano
al vertice delle priorità e non viceversa; significa che la ricchezza deve
essere distribuita in termini di servizi e non in termini di moneta; che la
moneta deve ritornare ad essere una semplice merce di scambio per il commercio;
che la società liberista attuale è giunta al termine del suo percorso dato che
non è riuscita a sostenere le esigenze dei cittadini.
L’attuale bisogno del
sistema di intaccare le pensioni ne è una dimostrazione evidente che, però,
serve allo stesso a mascherare il suo fallimento. Fallimento che si manifesta
nel richiedere sacrifici alla popolazione proprio per la mancanza di una
politica fiscale che reperisca soldi la dove si è accumulata la ricchezza,
ovvero, nelle banche e le finanziarie. Fallimento che si manifesta nella
costante diminuzione del welfare, ovvero, dei servizi essenziali come sanità, scuola,
trasporti ecc. sempre più ridotti e costosi. Fallimento che si manifesta nell’incapacità
volontaria di dare lavoro alle nuove generazioni sempre più esposte al lavoro
precario che toglie loro, oltre alla possibilità della pensione, anche quella
di organizzarsi un futuro.
Ma anche il fallimento che
si manifesta nella sempre maggior richiesta di autonomia delle regioni più
ricche, da parte di rappresentanti politici legati al capitale, che, spinte da
esigenze sempre più egoistiche, si rifiutano di condividere la ricchezza
accumulata con quelle più povere creando cosi i presupposti per una divisione
nazionale.
Tutte queste mancanze
determinate dalla politica liberista, si traducono, nella realtà con una minore
capacità di acquisto dei cittadini; capacità che va ad incidere sulla
produzione e, pertanto, sulla creazione di ricchezza.
È a questo che serve l’attuale
politica; a mascherare il fallimento del liberismo, e la volontà di non
ammetterlo, al fine di preservare gli interessi privati accumulati.
Alla prossima