Il piano di sviluppo del premier: pensioni e il patrimonio dei beni pubblici.
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Dopo l’irrisione di Sarkozy
ed essere stato ripreso dalla Merkel ed aver ricevuto l’ultimatum da Van
Rompuy, decide di intervenire sullo sviluppo economico. Come? Intervenendo sulle
pensioni e il patrimonio pubblico “che si può immettere sul mercato”.
Insomma la solita menata di
un governo che, per mantenere i privilegi dei ricchi, inclusi i politici, si
rifà sempre sui meno abbienti.
Come possano essere un
intervento valido ai fini della ripresa economica lo sa solo lui! Dice riguardo alle pensioni: “avere a cuore i pensionati
non collide con la difesa dei pensionati, perché non andiamo a toccare, a
diminuire, le pensioni di nessuno. Ormai con lo sviluppo della vita media, che
è intorno agli 80 anni, per i giovani mantenere delle persone che vanno in
pensione a 58 anni e poi vanno avanti fino agli 80 e oltre è un carico
francamente ingiusto”; non tiene conto che con lo spostamento dell’età
pensionabile, i giovani entreranno al lavoro sempre più tardi.
Questo significa che non si
avrà nessun beneficio sull’occupazione giovanile. Inoltre, non è vero che non
si diminuiranno le pensioni; con il nuovo sistema contributivo, le pensioni
sono già diminuite per coloro che andranno in pensione in futuro. Se consideriamo
anche il gettito fiscale derivante dal lavoro, non si capisce cosa cambi
facendo lavorare l’anziano o il giovane; il gettito sarà più o meno uguale. L’unico
vantaggio consiste nell’avere meno pensioni per qualche anno, ma poi ritornerà
tutto come prima con lo svantaggio di avere sempre meno lavoro giovanile. Lavoro che
sarà, in prevalenza, precario e che comprometterà seriamente la possibilità di
avere una pensione a 67 anni.
Ma forse è proprio questo
che si vuole raggiungere; limitare le pensioni limitando il lavoro. Inoltre,
già oggi, a causa delle continue riduzioni di personale nelle aziende –
riduzione causata sia dalla tecnologia sia dalla continua migrazione delle
aziende italiane verso l’estero – viene sempre meno la possibilità di
raggiungere l’età pensionabile anche alle persone non più giovani. Essere licenziati
a 50anni è come essere esclusi. Ma le aziende, trovandosi nella necessità di
scegliere tra lavoro umano e tecnologico, ovviamente, scelgono quello
tecnologico, e l’effetto diretto è la diminuzione di personale che, ovviamente,
riguarda le persone anziane per due motivi: lo stipendio più alto dei giovani e
il lavoro fisso. In questo modo risolvono il problema dei costi.
Per fare ciò, guarda caso,
utilizzano gli armonizzatori sociale quale la mobilità e la CIG, praticamente a
spese dello stato.
Insomma, ci troviamo di
fronte a due attacchi: da una parte lo stato che, per racimolare soldi,
prolunga l’età pensionabile, dall’altra le aziende che licenziano senza
riassumere.
Non si può certo dire che in
questo contesto si possa parlare di ripresa economica, anzi, in questo modo si
andrà sempre più verso una disoccupazione sia giovanile che anziana.
E tutto perché lo stato e le aziende non vogliono
ammettere due cose semplici: 1) che il vero problema è la mancanza di lavoro
umano – sostituito dalla tecnologia – e, di conseguenza, la diminuzione delle
entrate fiscali. 2) la necessità di modificare il sistema fiscale che, mancando
il lavoro umano, non può più essere prevalentemente basato sulla persona fisica
ma sul capitale.
Se il problema è il rapporto debito Pil, a nulla servirà
il risparmio se non c’è un aumento del Pil che è la base per far fronte al
debito. Ma anche l’aumento del Pil non servirà a nulla se diminuiranno le
persone occupate (dipendenti e non) che pagano le tasse perché, l’aumento del Pil
servirà solo alle aziende (produttive e non) per aumentare i loro profitti.
Concludendo, il premier,
anche in questa occasione dimostra di non poter governare una situazione che
riguarda la ristrutturazione dell’intera struttura sociale; dal lavoro alle
aziende al terziario ai politici ma partendo dalla ristrutturazione del sistema
fiscale inteso come recupero dei capitali per i servizi sociali e produttivi..