Lavoro e pensione.
Parte prima La lettera di Berlusconi all’UE
Dunque, se le aziende
licenziano in base ai loro bisogni ed essenzialmente per ridurre il personale
in eccesso a causa della tecnologia, come si può pensare che assumano altre
persone? Inoltre, se i licenziamenti riguardano il personale meno giovane con
scarse, o nulle, possibilità di essere riassorbito, come si può pensare che si
arrivi a maturare i requisiti per la pensione?
In passato, con la pensione
di anzianità acquisita dopo 35 anni di contributi, le aziende ottenevano un
risultato importante: il turnover .
Il turnover permetteva all’azienda di ridurre
il personale in base alle esigenze di ristrutturazione e, eventualmente, di
assumere personale più qualificato in grado di utilizzare le nuove tecnologie,
ovvero i giovani.
Questo, però, non provocava
disoccupazione nella popolazione più anziana perché, l’età pensionabile con
trentacinque anni di contributi veniva raggiunta facilmente, pertanto, le
aziende, prima di licenziare, mettevano in pensione coloro che avevano
raggiunto i trentacinque anni di contributi. Il lato negativo di questo è stato
il suo uso indiscriminato attraverso quello che veniva chiamato
prepensionamento, ovvero, la possibilità di mandare in pensione anche coloro
che non avevano ancora raggiunto i requisiti di anzianità caricando lo stato di
costi aggiuntivi.
Il sistema del turnover e
dei 35 anni era un vantaggio sia delle aziende che dei lavoratori e permetteva
l’assunzione dei giovani.
Oggi si vorrebbe spostare la
pensione a 67 anni ed eliminare quella di anzianità. Allo stesso tempo si
vorrebbe aumentare l’occupazione giovanile. Due azioni contrastanti che
andranno a penalizzare i lavoratori più anziani perché, per far posto ai
giovani, con la norma che il governo sta approntando, saranno gli unici ad
essere licenziati senza, però, aver raggiunto l’età pensionabile.
Ed è qui la contraddizione. Contraddizione
che, però, rispecchia l’ideologia del liberismo berlusconiano che vuole mettere
al centro della società non più l’uomo ma l’economia.
“Licenziare per assumere”. La frase non è altro che la sintesi di
questa ideologia; si licenziano i più anziani a favore dei giovani senza dare
certezza della pensione agli anziani. Ovvero,
l’uso dell’uomo finché crea profitto.
Il problema che ci si pone
oggi è falsato dal sistema che vuole basare tutto sull’utile. Questo crea la
falsa questione di reperire le risorse necessarie per “mantenere i pensionati”.
In una società civile che si rispetti, mettere, nelle spese fisse dello stato,
coloro che per decenni hanno contribuito alla creazione della ricchezza,
dovrebbe essere la priorità al pari della sanità e della scuola.
Si, è giusto aiutare i
giovani ad inserirsi nel lavoro, ma questo non deve avvenire penalizzando i
padri che verranno caricati sulle spalle del giovane in mancanza della
pensione. E, comunque, il giovane subirà la stessa sorte del padre.
Pensione e lavoro sono due
aspetti della stessa medaglia e non si possono trattare in modi diversi.
Il lavoro serve, oltre a
reperire le risorse (soldi) per vivere, anche per crearsi quella dignità che
serve maggiormente quando si diventa anziani.
Arrivare alla pensione non è
un obiettivo egoistico come vorrebbero farci credere – va considerato che i
dipendenti versano una quota mensile all’IMPS per la pensione – ma un’esigenza,
di quanti hanno lavorato, che serve loro a sopravvivere in quell’età dove non è
più possibile essere attivi anche quando si ha la salute.
Alla prossima puntata.